L'avvocato Gianvirgilio Cugini è stato intervistato da 'www.siamotuttestartup.it' lo scorso 16 Giugno. Ecco qui l'intervista completa:
Premettendo che faccio l’avvocato e non l’economista, rilevo nella pratica che l’attuale situazione economica e lo sviluppo sostenuto dai processi di globalizzazione e di forte crescita economica dei paesi emergenti, rendono il mercato nazionale una realtà spesso contenuta per la crescita di un’azienda. La riduzione delle barriere tariffarie e commerciali, e la facilità nelle comunicazioni e nei trasporti, spingono le imprese ad espandersi oltre il mercato interno, cercando opportunità e benefici su quello internazionale. L’apertura verso i mercati esteri rappresenta sempre di più un’opzione strategica anche per le aziende di piccole e medie dimensioni e la prima modalità di espansione è certamente l’esportazione diretta, seguita da quella indiretta. Ma forse oggi per chi ha superato questa prime modalità non è più sufficiente e quindi subentra la necessita di pianificare attentamente lo sviluppo con modalità che vedono l’azienda presente in modo costante all’estero a presidiare il mercato.
L’elemento chiave per un’internazionalizzazione di successo senza dubbio rimane l’imprenditore stesso, ossia il team manageriale dell’azienda, che grazie alle loro esperienze, viaggi e contatti coglie i segnali deboli intorno ai quali costruire una strategia di internazionalizzazione. A volte l’impresa più strutturata tramite le partecipazioni a fiere di settore o tramite missioni organizzate da strutture associative esplora i mercati alla ricerca di opportunità che poi devono essere opportunamente analizzate e se non scartate, sviluppate. Spesso si pensa a mercati lontani ed emergenti, dove si possono cogliere grandi opportunità, ma ci dimentica che, dati alla mano, nei primi 10 paesi di destinazione dell’export italiano in base al volume di affari nel 2016 la Cina, lontana, era al nono posto con 9.0 Miliardi di euro rispetto alla piccola Svizzera, vicina, che era al sesto posto con 17 Miliardi.
Il classico approccio prevede una evoluzione che parte dagli accordi commerciali, nei quali possiamo far rientrare i contratti con agenti o distributori, alla costituzione di una filiale di vendita o una rete di franchising fino alla Joint venture societaria con una partner locale. Personalmente ritengo che oggi la caratteristica più importante per una PMI sia la velocità, valutando a seconda dell’opportunità che si presenta approcci anche innovativi al di la dei modelli usuali che possono certamente rappresentare una traccia da seguire ma adattandoli alle diverse situazioni che possono presentarsi. Il successo oggi è dato dal cambiamento moltiplicato per la velocità nell’attuarlo e questo a maggior ragione si riflette nelle attività di internazionalizzazione dell’azienda.
Nel suo recente articolo pubblicato sul nostro blog, parlando di contrattualizzazione dei rapporti fra aziende, soci, ecc. consiglia di prevedere una “scialuppa di salvataggio”, potrebbe specificare meglio di cosa si tratta?
Quando si studia o si realizza una internazionalizzazione bisogna pianificare il più possibile non solo la realizzazione o l’entrata sul mercato , ma anche la permanenza ed eventualmente il rientro. Oggi in modo particolare consci che la delocalizzazione per tagliare i costi sta volgendo al termine con l’avanzata della digitalizzazione e con la consapevolezza che per molte aziende la stessa ha depresso la qualità della filiera e della produzione si parla di reshoring, ovvero la tendenza a riportare in Italia produzioni precedentemente delocalizzate all’estero. L’esperienza insegna che il reshoring o l’abbandono di una iniziativa non è una passeggiata soprattutto nel momento in cui intendo chiudere un progetto nel quale sono coinvolti imprenditori e manager stranieri. Quando si internazionalizza una domanda costante alla quale si deve rispondere è: e se l’iniziativa, per qualunque ragione andasse male che procedure dobbiamo adottare e quindi ipotizzare fin dalla sua fase realizzativa ?
Quali sono i punti di forza e quelli di debolezza delle PMI italiane?
I punti di forza sono sempre quelli creatività, flessibilità, empatia ma non bastano più; il mercato è esageratamente competitivo si deve lavorare e saper lavorare in squadra si deve saper coinvolgere e motivare il proprio team in azienda cosi come quelle che incontro nel paese straniero. Si deve saper mantenere le eccellenze ed evitare che lascino l’azienda dopo che è stata promossa in campionato. Per realizzare questi obiettivi bisogna affrontarli con formule contrattuali e di partecipazione diverse e innovative come il Trust che viene spesso utilizzato per proteggere i patrimoni e poco per consolidare i rapporti economici all’interno di una squadra.L’età non conta le aziende più giovani hanno spesso meno blasone ma nascono con più innovazione e la famiglia in azienda non è alla lunga fattore di conservazione e quindi bisogna essere veloci ed agili ad introdurre ed applicare il concetto di meritocrazia in Italia e ancor di più all’estero. Una volta il pesce grande mangiava il pesce piccolo, oggi il pesce veloce mangia il pesce lento.
Come si collocano nel mercato globale le nostre imprese?
La mia esperienza è che in un mondo globalizzato si ragiona sempre di meno per nazionalità e sempre più per capacità manifestate sul campo con procedure e risultati ; sarebbe un grave errore di supponenza ritenere che siccome l’Italia è parte del G7 allora ci sia permesso di insegnare agli altri come fare impresa.