La Guardia di Finanza ha recentemente avviato un'indagine a tappeto sui lavoratori frontalieri (nei 20 km di confine) dipendenti, ma risultanti al contempo soci della società svizzera datrice di lavoro.
L'attenzione si è concentrata sulla natura del rapporto di lavoro tra i frontalieri e la società da loro stessi detenuta, con l’assunto che non vi sia subordinazione.
Conseguentemente si paventa la riqualificazione dei redditi percepiti negli ultimi anni, quali reddito di lavoro autonomo (imponibili IRPEF) e non redditi di lavoro dipendente frontaliero (in esenzione di imposta in Italia secondo quanto stabilito nell’accordo fiscale sui frontalieri).
Questa interpretazione solleva non pochi interrogativi sull’operato accertativo degli enti italiani, spesso in netto contrasto con le valide ragioni economiche che hanno portato l’imprenditore ad avviare la propria attività in Svizzera in ottemperanza alla normativa elvetica in tema di lavoro subordinato. La giurisprudenza svizzera sul tema, infatti, riconosce il rapporto di lavoro dipendente di contribuenti soci/azionisti, soppesando le condizioni di organizzazione sottostanti.
L’atteggiamento inquisitorio degli Uffici rischia di creare un clima di incertezza tra i frontalieri e le imprese coinvolte, con possibili ricadute finanziarie anche a livello commerciale. Secondo questa nuova interpretazione, infatti, il lavoratore subirebbe una doppia imposizione, svizzera e italiana, contravvenendo alla Convenzione contro le doppie imposizioni sottoscritta dai due Paesi.
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