La fortissima crescita di interesse da parte dei collezionisti a possedere opere d’arte esistenti unicamente in formato digitale, rappresentate da Non-Fungible-Token (o NFT) e distribuite attraverso la blockchain (Ethereum in particolare), spinge ad una riflessione circa il corretto inquadramento fiscale del fenomeno, sia per le imposte dirette sia le indirette, distinguendo in base ai diversa natura dei soggetti coinvolti.
1) Il cripto-artista residente in Italia che crea opere d’arte digitale e le rivende online, tramite un marketplace o piattaforma similare, a titolo abituale, genera redditi di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53 c. 1 del Tuir.
2) Laddove invece tale attività venisse svolta occasionalmente, i redditi da essa prodotti risulterebbero qualificabili come redditi diversi ai sensi dell’art. 67, c. 1, lett. l) del Tuir.
3) Relativamente ai collezionisti non esercenti attività d’impresa (quali gli speculatori occasionali), le eventuali plusvalenze risulterebbero inquadrabili tra i redditi diversi, ex art. 67, c. 1, lett. i) del Tuir.
4) Infine, il “collezionista privato” non sarebbe soggetto ad alcuna imposizione fiscale.
Con riferimento invece all’eventuale “diritto di seguito” quale remunerazione maturata sul prezzo di rivendite delle opere stesse successive alla prima cessione da parte dell’autore, grazie a specifici smart contract, rientrerebbero invece tra i redditi assimilati a quelli di lavoro autonomo, ai sensi dell’art. 5, c. 2, lett. b) del Tuir.
Lato Iva, le cessioni di opere d’arte digitali risulteranno imponibili ai sensi dell’art. 2, c. 1 del D.P.R. 633/1972 laddove il cripto-artista si qualifichi come soggetto passivo d’imposta, ai sensi del successivo art. 5 (esercizio abituale e professionale, ancorché non esclusivo, dell’attività artistica). In questo caso, se l’operazione di cessione si perfeziona in Italia, la stessa sarà soggetta all’aliquota ridotta del 10%.
Il nostro staff rimane a disposizione per qualsiasi chiarimento.