Secondo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE, sentenza 22/10/2015, causa C-264/14 Skatteverket/Hedqvist) le criptovalute (es. «bitcoin») non hanno “altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento”, al pari delle valute tradizionali aventi corso legale.
Pertanto, il cambio di valute tradizionali in valuta virtuale (nel caso specifico, bitcoin), e viceversa, effettuato da un operatore specializzato a fronte della riscossione di un margine, rappresenta un’operazione finanziaria, purché tali valute “siano state accettate dalle parti di una transazione come mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento legali e non abbiano altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento”.
In quanto tale, l’operazione sopra descritta è rilevante ai fini IVA, ma inquadrabile comunque tra le operazioni esenti, “relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio” di cui all’art. 135, par. 1, lett. e, della Direttiva 2006/112/CE.
I principi affermati dalla CGUE sono stati ripresi dall’Agenzia delle Entrate nella Risoluzione n. 72 del 2 settembre 2016, nella quale, dopo aver evidenziato che “la predetta sentenza della Corte di Giustizia Europea costituisce necessariamente un punto di riferimento sul piano della disciplina fiscale applicabile alle monete virtuali”, ha affermato che l’attività di acquisto/venditadi bitcoin dev’essere considerata ai fini IVA quale prestazione di servizi esente ex art. 10, primo comma, n. 3, del D.P.R. n. 633/1972.
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