Nel settore del private equity, per carried interest si intende quella particolare forma di remunerazione/extra-provento percepito dal management e/o dai dipendenti di società, enti o società di gestione dei fondi d’investimento derivante dalla detenzione di strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati. Grazie a questi ultimi, i beneficiari hanno il diritto di ricevere una parte dell’utile complessivo generato dall’investimento in misura più che proporzionale all’investimento medesimo.
L’art. 60 del D.L. n. 50 del 24 aprile 2017, convertito con modificazioni dalla Legge n. 96 del 21 giugno 2017, intervenendo sulla disciplina fiscale del carried interest, ha introdotto la presunzione di diritto che tale provento abbia natura finanziaria, qualificabile pertanto come reddito di capitale o diverso (tassato di norma al 26%), e non reddito di lavoro dipendente o autonomo (che concorre a formare il reddito complessivo del beneficiario e soggetto ad Irpef progressiva oltre alle addizionali), qualora sussistano contemporaneamente i seguenti requisiti:
Tuttavia, la carenza di uno o più presupposti stabiliti dalla norma non comporta necessariamente che i carried interest siano qualificati come redditi di lavoro dipendente o assimilato o di lavoro autonomo. Segnatamente, la natura del reddito deve essere determinata attraverso un’analisi caso per caso. Questo è quanto emerge dal principio di diritto n. 3 del 12 febbraio 2019 e che riprende quanto già statuito nella Relazione illustrativa e confermato dalla Circolare 25/E del 16 ottobre 2017.
Ad esempio, possono essere indicative della natura di reddito finanziario (i) l’idoneità dell’investimento, anche in relazione all’ammontare e alla correlata esposizione al rischio di perdite del capitale, a garantire l’allineamento di interessi tra investitori e management; (ii) il mantenimento da parte del management della titolarità degli strumenti finanziari anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro.
Lo staff rimane a disposizione per qualsiasi chiarimento.